Le vestigia romane dell’antica città di Carsulae, (fondata nel III secolo A.C. lungo l’antico tracciato della via Flaminia), oggi collocata a breve distanza dalla cittadina di San Gemini (Terni), sarebbero marcate da chiare impronte della cultura celtica.

Storici illustri come Plinio il Giovane e Tacito ricordano Carsulaeadagiata su un fertile altopiano che spazia sul profilo meridionale deimonti Martani.

Questi importanti resti riportati alla luce nel corso di scavi effettuati  fra il 1951 ed il 1972, delineano una città fiorente, commercialmente e politicamente attiva, sviluppatasi probabilmente grazie all’apertura della grande via consolare che collegava Roma al Mare Adriatico.

Ma ad un certo punto Carsulae venne abbandonata e  le cause più probabili dell’abbandono forse sono stati  fenomeni naturali, come terremoti e bradisismi, i cui segni sarebbero ancora parzialmente visibili fra le rovine, oppure  ragioni economico-logistiche (il ramo della Flaminia sarebbe stato dismesso in favore della variante lungo la pianura spoletina).

Che ruolo ebbe  la città di Carsulae?
I resti (le terme impreziosite da mosaici pavimentali finemente lavorati,  un quartiere interamente dedicato agli spettacoli e con un suggestivo anfiteatro costruito su una dolina) suggeriscono ipotesi  suggestive, fra le quali quella che Carsulae sia stata una città per lo svago ed il relax delle legioni che tornavano a Roma dopo le campagne vittoriose nel Nord Europa.

Carsulae, grazie alle acque medicamentose delle sorgenti di San Geminie al suo clima salubre, poteva rappresentare il luogo ideale dove far attendere gli impazienti legionari, che nel frattempo potevano rilassarsi e rimettersi in forma o scontare una sorta di quarantena prima di entrare nell’Urbe, per evitare il rischio di contagiare con malattie di “importazione” la popolazione della capitale dell’impero.

Altra suggestiva ipotesi nasce da alcune ricerche che indicherebbero la città edificata per onorare culti pagani di origine celtica.

Questa ipotesi avvalorata dagli studi del professor Manlio Farinacci, studioso ternano secondo il quale Carsulae sarebbe stato uno dei maggiori centri di culto pagano dell’Italia centrale come testimonierebbero anche i  nodi gordiani e le croci uncinate (simili alle svastiche, ma con i bracci orientati in senso opposto) raffigurati sui pavimenti a mosaico rinvenuti a Carsulae, i bassorilievi illustranti le fasi dei riti dei culti celtici e la cosiddetta Pietra Runica di Cesi.

Secondo Farinacci, a Carsuale si troverebbe anche un Menhir Fallico,  una pietra di forma quadrangolare sovrastata da un cilindro con l’estremità superiore conica la cui funzione sarebbe quella di attrarre gli influssi celesti.

La simbologia scolpita sotto al  cilindro, rappresenterebbe le varie costellazioni che partendo dal “Fiore della Vita” ( simbolo di fertilità) si ricongiungono  tutti i segni dello zodiaco.

Inoltre la presenza di una specie di osservatorio astronomico sul Monte Torre Maggiore (la vetta più alta dei Martani) avvalorerebbe le ipotesi gli interessi astronomici legati al  culto celtico.

L’osservatorio è costituito da una roccia isolata (quasi un Menhir), in cima alla quale è ancora presente una vaschetta quadrangolare, scavata allo scopo di mantenerla sempre piena d’acqua, in modo da farvi specchiare le varie costellazioni.

Ogni anno, alla mezzanotte del 24 Giugno, l’Orsa Maggiore si trova perfettamente a perpendicolo con la vaschetta, indicando il solstizio d’estate.

In questa occasione i sacerdoti celti avrebbero acceso un grande fuoco per avvisare un altro osservatorio – situato sui monti di Stroncone – e tutta la popolazione della vallata dell’inizio dei riti propiziatori per il festeggiamento dell’estate.

Ancora oggi, a Cesi è tradizione nella notte di San Giovanni (24 Giugno) mettere fuori dalla finestra una bacinella d’acqua con erbe aromatiche colte la sera stessa.
La mattina dopo, quest’acqua in cui si sono specchiate le stelle di una notte molto speciale, viene utilizziata per lavare il viso, come in una piccola cerimonia di purificazione.

L’impronta celtica sulla cultura umbra è inoltre percepibile nei toponimi di molte località – l’etimologia di Appennini e Monte Pennino deriverebbero dal dio Penn (antica divinità celtica) -, nelle espressioni dialettali ancora oggi in uso e persino nei nomi di persona (Mingarda, Rumirda e Villermu sono solo alcuni esempi di nomi di origine sassone reinterpretati dal dialetto locale).

Informazioni:
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