Castel Rubello

Pochi chilometri a sud di Orvieto, vicino Porano, sorge sopra un poggio Castel Rubello
Lo scopo principale della sua costruzione fu il dominio del traffico sull’antica Via Cassia, dominata dalle sue mura e soprattutto dalla torre principale, alta più di quaranta metri, il cosiddetto “Maschio”.
La data di fondazione è incerta, nei secoli il castello cambia diverse volte nome e soprattutto, prima del 1200, mancano documentazioni archivistiche edite, tuttavia, ricorrendo all’osservazione delle murature e dei dettagli architettonici per una datazione approssimativa,la primitiva costruzione si può far risalire all’XI secolo.
Il Carpenter (pp. 66 e ss.) con il suo “Piviere di San Fortunato”, una sorta di catasto dell’epoca, individua con certezza, nel 1292, il nucleo originario di quello che oggi si configura come un piccolo borgo chiuso, con il nome di “Villa Podii”, presente nel testo, insieme alla “Villa Porrani” ed alla “Villa Canale”; questa stessa struttura ricompare sia con la nuova denominazione di Castel Ribello (come lo chiama il Ceccarelli, p. 18) che nel Catasto delle pievi che pagavano le decime dall’anno 1297 (Sella, pp. 801- 916).
Notizie dell’esistenza del castello si hanno anche nel 1342 (Fumi, 1884, p. 501) quando era in possesso dei Monaldeschi che, infatti, vi ripararono nel 1345 prima di rientrare nella città d’Orvieto di cui erano stati i Signori (Monaldeschi, p. 63 ).
Per anni rifugio di fuoriusciti, il castello troverà un minimo di tranquillità nel 1420, quando Martino V concedette particolari privilegi a Castel Rubello e Porano compresa l’esenzione dalla tassa “delle bocche e delle assegne in compenso dei danni sofferti nella guerra” (Fumi, 1884, p. 677).
La riconquista d’Orvieto da parte dei Monaldeschi avverrà nel 1437 per opera di GENTILE DELLA SALA (Gentile Monaldeschi della Vipera) che, con l’assenso del civico rettore del Patrimonio, Pietro Ramponi, entrò di notte in Orvieto con Ugolino da Montemarte, Ranuccio da Castel di Piero ed altri “Mercorini”, facendo strage di uomini e giovani della fazione avversa dei “Muffati”: furono date alle fiamme numerose case ed uccise più di 60 persone.
Molti riuscirono a salvarsi rifugiandosi a Castel Rubello dove dal 1422, conestabile, era Francesco da Bologna, capitano di ventura aderente alla fazione dei Muffati, dunque al soldo della Chiesa Pontificia. Per la cronaca, costui trattò il suo tradimento ai danni del Papa con Gentile Monaldeschi della Vipera, allora emissario di Francesco Sforza (1400, + 1465, celebre e potentissimo condottiero che fra le mille cariche sarà anche Duca di Milano) storico nemico del Papato. Nel 1439 il della Vipera si portò a Castel Rubello entrandovi con 400 fanti, ma il trattato era doppio: attaccato da Francesco da Bologna fu catturato, imprigionato e 36 dei suoi uomini d’arme furono uccisi nello scontro.
Liberato al prezzo del suo tradimento, passa al servizio dei pontifici contro Francesco Sforza, ma la sua fedeltà è falsa, trama in favore dei ghibellini avversi al Papato, sino al febbraio dell’anno successivo quando, scoperto, verrà rinchiuso nel cassero di Assisi con Francesco da Carnaiola, quindi condotto a Perugia per esservi incarcerato. E’ liberato con il Carnaiola a metà giugno, solo quando il fratello Arrigo avrà ceduto allo stato della Chiesa in cambio di un indennizzo di 2000 fiorini, Orvieto con Castel Rubello.(www.condottieridiventura.com).
Conteso successivamente da varie famiglie nobili, con lotte piuttosto aspre alla fine del ‘400 tra i della Rovere ed i Valenti (Tommaso di Silvestro, pp. 106 e sgg), nel 1497 Giovanni Savelli (Signore di Rignano, Flaminio e Benano), utilizzerà Castel Rubello come base per condurre un attacco, forte di quattrocento fanti, al vicino Castel Giorgio dove risiedeva il nipote del Vescovo di Orvieto, Giorgio della Rovere, Castel Giorgio verrà conquistato, distrutto ed il castellano condotto in catene a Castel Rubello. Brandolino Valenti otterrà senza lotta ed in cambio di un congruo riscatto la liberazione del nipote del Vescovo e di Castel Rubello a vantaggio della famiglia Valenti, questi ultimi vi risederanno dal 1519 fino al XVIII secolo, dopo essersi imparentati con gli Avveduti che lo avevano già occupato all’inizio del XV secolo e che all’epoca erano Signori di Porano (Fumi, 1888).
Fu proprio con i Valenti che il castello fu ristrutturato e trasformato in villa. Giacomo Valenti, che era tra i giudici della grande “giostra a coppie” del carnevale orvietano del 1542, (Satolli, 1986, p. 157) negli anni precedenti aveva sistemato una parte del palazzo, affidando la realizzazione di pregevoli affreschi, tutt’oggi perfettamente conservati, al noto pittore umbro Cesare Nebbia (1535, + 1614) e concludendo i lavori con la posa in opera di un monumentale camino datato 1541.
Suo figlio Federico, con la moglie Lucrezia Ottieri, porterà a termine l’opera rinnovando un’altra ala dell’edificio eletta a sua dimora e fatta decorare con affreschi, sempre da Cesare Nebbia, come si evince dal suo ricorrente tema del “Mito di Aracne” presente nella lunetta della prima sala.
Nel XVIII secolo la proprietà del castello passò alla famiglia Salvatori, quindi ai Marini, la cui ultima erede Emma, sposò nel 1892 il Marchese Nicola Serafini Trinci i cui eredi diretti sono tuttora proprietari del Castello.
Purtroppo nel 1944 il cannoneggiamento delle truppe alleate, forse per scoraggiare azioni di cecchinaggio, distrusse due delle torri più piccole che non furono più ricostruite.
La chiesa di S. Giovanni Battista a Castel Rubello

L’iscrizione in latino della lapide apposta nel 1886 sopra la porta d’ingresso sulla parete di controfacciata della chiesa riassume sommariamente la storia dell’edificio e fornisce informazioni, tratte EX MEMORIIS AUTHOGRAPHIS, che costituiscono una traccia attendibile per poterla, almeno parzialmente, ricostruire. La prima informazione riguarda l’antica ma non documentata fondazione della chiesa (TEMPLUM HOC CUIUS ORIGO INCERTA EST SED VETUSTA) e la forma originaria del primitivo edificio (CUIUS PRISTINA FORMA BREVIS ET GOTHICA).
In effetti i resti di una parte di muri perimetrali fondati sul tufo nativo e costruiti a cortina dello stesso tufo ben lavorato nonché la presenza di vecchie aperture, compresa una tipica monofora archi-acuta, fanno dedurre che la prima chiesa sia stata di più ridotte dimensioni e che fosse anche orientata su un asse ortogonale rispetto all’attuale con l’abside a nord-est verso Orvieto. In mancanza di documentazioni archivistiche edite, ricorrendo per una datazione approssimativa all’osservazione delle murature e dei dettagli architettonici, la primitiva costruzione si può far risalire al XIV secolo.
La seconda informazione riguarda il primo intervento radicale alla fine del Cinquecento (QUASI EX INTEGRO RENOVATUM ET AMPLIATUM PAULO POST ANNUM D.Nl 1597) che dovette essere quello di rotazione dell’asse di 900 e di trasformazione della pianta da semplice aula absidata ad un’altra assimilabile alla croce latina mediante la creazione di un vano, dove ancora figura un affresco tardo manierista che rappresenta la Crocifissione, equivalente ed opposto alla vecchia abside.
Questo mutamento, che comportò anche un ampliamento del perimetro, è certamente da mettere in relazione ai consistenti lavori di ristrutturazione che Giacomo Valenti andava facendo anche nell’edificio residenziale e infatti sono ancora presenti i segni tangibili di questa sua volontà di rinnovamento condivisa dalla moglie. Una delle due acquasantiere in pietra rossa mostra sul basamento lo stemma bipartito delle due casate Valenti/Ottieri e l’iscrizione FEDERICO VALENTI ET LUCRETHIA OTHERIA CONIVGES …1593 ed una tela – oggi sull’altare maggiore – rappresenta il banchetto nuziale con i ritratti degli sposi con un evidente riferimento iconografico e formale alla pala delle Nozze di Cana che Cesare Nebbia aveva dipinto per una cappella del duomo d’Orvieto (Satolli, 1987, p. 75).
Che anche la tela di Castel Rubello si possa attribuire al Nebbia non è un’ipotesi azzardata perché nel 1597, poco prima di morire, Federico Valenti espresse nel testamento (inedito) tra le sue ultime volontà quella di essere seppellito nella stessa chiesa di S. Giovanni Battista in una tomba con cappella da costruire sotto la direzione della moglie prendendo a modello quelle della cattedrale orvietana dimostrando ancora una volta la sua sensibilità artistica ed il suo appressamento per gli artisti dell’epoca. Ma nel 1598 anche Lucrezia Ottieri morì e molti progetti rimasero incompiuti tanto che quando il Vescovo d’Orvieto Giacomo Sannesio fece il 6 ottobre 1606 la sua visita pastorale alla chiesa S. ti Joaannis quae parochialis est extra Castrum Rubellum -che aveva la cura di circa 300 anime- dovette costatare che il malridotto altare maggiore (in aliqua parte fractum) andava restaurato, che anche l’altare dell’oratorio del Sacramento della Confraternita del Corpo di Cristo -che fronteggiava quello maggiore doveva essere spostato (transferri in alia parte) e che tutte le pareti della chiesa necessitavano di ripulitura e tinteggiatura (incrustentur et dealbentur).
Probabilmente alcuni lavori di manutenzione furono eseguiti, ma quando un secolo appreso, il vescovo Onofrio Elisei fece la sua visita il 15-16 maggio 1722 dovette nuovamente ordinare che oltre al restauro del pavimento della cappella con l’Altare del SS. Rosario e all’erezione di una croce sulla facciata, si dovesse riadattare e ripulire tutta la chiesa (reaptari in suispartibus et dealbari).Ulteriori informazioni provenienti dalla lapidaria iscrizione riguardano la consacrazione della chiesa del 1742 e la demolizione dell’altare maggiore (DEMOLITUM ET AD MELIOREM FORMAN REDUCTUM) successivamente consacrato nel 1802 e la stessa data di apposizione della lapide, infine, coincide con l’ultima fase dei lavori di sistemazione interna della chiesa dove restano soltanto le tracce dei vari interventi succedutisi nel tempo, come l’altare in stucco sul fondo dell’antica abside -col relativo arco d’accesso alla cappella decorato anch’esso in stucco e sormontato da putti reggi – stemma o il monumento funerario in marmo, sul fianco della stessa a Liborio Salvatori da Caprarola (1866).
Successivamente si mise mano alle opere esterne: fu sistemato il portale di facciata (J. M. FECIT 1893) nonché tutta la scala d’accesso e, mentre si provvedeva a ripristinare le vicine mura del castello a partire dal 1906 quando fu rifatta .la porta d’ingresso del borgo fin alla ricostruzione neogotica dei beccatelli e dei merli della torre contigua alla canonica- si eresse anche il campanile in forme neoclassiche.
Così l’eclettismo architettonico del primo Novecento si sovrappose all’immagine romantica che di Castel Rubello aveva lasciato nel suo taccuino di viaggio il paesaggista olandese Abraham Teerlink che nei primi anni dell’Ottocento batteva quelle contrade.