Andrea Braccio Fortebraccio, nasce da Oddone e da Giacoma Montemelini il 1 luglio 1368.
Non si sa perché avesse cambiato il nome in quello di Braccio, forse in ricordo dell’antenato Braccio I. La famiglia Fortebracci è originaria di Montone, non ha avuto origine da Perugia benché fosse nobile e lì avesse casa, secondo il costume dell’epoca.
Il padre di Braccio, Oddone avendo saputo dagli astrologhi che suo figlio sarebbe potuto diventare il più grande e valoroso soldato dell’età sua non mancò di fare la sua parte trovandogli maestri che l’indirizzassero ad apprendere non solamente le buone letture ed ogni esercizio cavalleresco.
Così il giovane Fortebraccio si esercitava di continuo a correre a saltare a cavalcare ed in tale esercizio riusciva ottimamente.
Gli avvenimenti cittadini che si svolsero durante la sua adolescenza ed i personaggi che colpirono la fantasia del piccolo e poi del giovane Andrea Braccio, furono il banco di prova nel quale si forgiò il suo carattere, per eredità di sangue, audace, combattivo, indipendente, attento, tenacemente legato anche e soprattutto per i quotidiani ammaestramenti verso la parte della quale dovrà essere un giorno guida.
I Montemelini infatti, si distinguevano per le loro turbolenze, e nelle frequenti contese cittadine compivano vendette e sfogavano rancori.
In questo ambiente familiare Andrea Braccio crebbe, ed il suo carattere si dimostrò subito, quando represse in Montone una congiura contro la sua famiglia, durante la quale venne ucciso un tifernate. Perugia reclamò la punizione dei responsabili e fissò una taglia sulla loro testa; il giovane Braccio su consiglio dei parenti, per sfuggire alla giustizia si rifugiò in territorio perugino per poi recarsi al campo del Conte di Montefeltro, dove fu ricevuto con grande amore.
Ma in lui cresceva il desiderio di gloria e si gettò nella battaglia di Fossombrone con tale impeto da esser mortalmente ferito in diverse parti del corpo, e maggiormente ad una gamba tanto che rimase claudicante per il resto della sua vita. Sull’aspetto fisico di Braccio il Giobbi così lo descrive: ..Egli era più che di mediocre statura, il viso lungo e sparso alquanto di rossore che lo rendea maestoso.
Non avea gli occhi negri, ma vivaci e nello stesso tempo pieni d’allegrezza, a cui corrispondevano tutte le altre membra, eccetto quelle che erano restate deformi dalle cicatrici.
D’aspetto ora piacevole,ora severo, secondo che richiedeva il tempo, ma sempre di maniera signorile; gli stessi nemici confessavano che egli, o in piedi, o a sedere, qualunque fosse il numero di persone che non l’avessero mai veduto, sarebbe stato subito riconosciuto per principale di tutti…
La sua vita privata, come quella dei personaggi di questo periodo, rimane, tuttavia velata di mistero.
Ciò si deve al fatto che essi non possono avere una famiglia, troppo aleatorio il destino che li accompagna.
Chi segue il condottiero, invece è la concubina. Non esiste differenza tra i figli naturali e quelli legittimi.Nemmeno della prima moglie, Elisabetta degli Armanni, sposata nel 1392, si hanno tante notizie.
Tutto resta avvolto nell’ombra circa come e dove visse.La figura femminile in quel tempo non ha troppo valore, tuttavia lo riacquista in termini politico-diplomatici, o procreativi.
Solo nel 1419 si dà notizia della morte di “Betta” e Braccio, in lotta contro Martino V non può partecipare al funerale.
Nei ventisette anni di matrimonio “Betta” non darà alcun figlio al condottiero.
Si conoscono, invece, i figli naturali, l’unico Oddo nato nel 1409.
Braccio ebbe anche diverse figlie.
Lucrezia, Innamorata Carlotta, Ultima tutte maritate in nobili famiglie.
Nulla si sa della madre e/o delle madri delle altre figlie di Braccio, forse non si poteva trovarle o enumerarle.
Rimasto vedovo e senza figli legittimi, Braccio sposò Nicola Varano, in nome dell’amicizia con il fratello di questa, conte di Camerino e per la costruzione di solide e future alleanze.
Si ricorda il ricco corteo che da S. Maria degli Angeli, presso Assisi, si dirigeva alla volta di Perugia; la sposa era contornata da 100 nobildonne della sua città e ben settanta damigelle.
La cavalcata degli sposi era aperta da sessanta trombetti che percorsero le vie di Perugia sotto una pioggia di fiori, pallii appesi alle finestre e vasi d’argento in esposizione.
Solamente dopo nove mesi, nasce l’agognato erede, Carlo.
Gli abitanti di Città di castello, gli inviarono i Magistrati e donarono in segno di giubilo, vino pinocchiate ed altri generi commestibili.
Nel 1416, Braccio è Signore di Perugia amata città che accolse i suoi genitori, e questo spinse il Montonese a non trasformare mai il dominio in tirannide, al contrario, dava prova di saper amministrare con grande saggezza e lungimiranza accingendosi ben presto a realizzare grandi ed importanti opere, mostrando così anche una vocazione da “ bravo ingegnere”.
Le eleganti Logge che portano il suo nome e sulle quali è ancora visibile lo stemma della sua casata, erano luogo nel quale trovavano riparo i numerosissimi mercanti che con l’arte del commercio rendevano sempre più fiorente la città.
Le unità di misura, ancora visibili, incise su pietra e legittimate dal Comune di Perugia, testimoniano che quel luogo era “giuridicamente legittimato” alla compravendita delle famose “Tele Perugine” ricercate in tutta Europa.
Altre opere furono la creazione della Piazza del Sopramuro, con un’abile opera d’ingegneria si rafforzarono le antiche mura etrusche e fu creata in breve la piazza, la bonifica delle acque del Trasimeno, un emissario faceva defluire le acque che tracimavano.
L’azione politica fu senz’altro molto acuta e decisa; molti anni erano occorsi affinché Braccio potesse affrancarsi dal soldo per crearsi un proprio esercito pronto, motivato e disciplinato da regole rigorosissime.
L’idea che arrovellava la testa del Capitano era quella della creazione di uno stato dell’Italia Centrale staccato dal potere Pontificio riducendo sempre più i confini della Chiesa ed al tempo stesso divenendone egli signore.
C’è un gesto del Condottiero che non sappiamo giudicare se spregiudicato o masochista, che sembra quasi capace di cancellare tutti i suoi difetti e le crudeltà.
In battaglia, se Braccio era consapevole della superiorità numerica e di forza degli eserciti collegati, invitava il nemico, assicurando che durante il passaggio delle gole non avrebbe mai agito o assaltato, dichiarandosi così leale all’Ars Bellandi.
Questo gesto d’estrema sicurezza in sé, era dettato per alcuni da estrema tracotanza, per altri da razionalità, freddezza, estrema ponderatezza.
Il popolo vedeva in lui solo l’Eroe che sfida tutti ed ha la capacità di atterrire potenti e potentati. E’ un modello un esempio che possiede in sé e domina due elementi; la Virtù e la Fortuna.
Quest’ultima abbandona il Condottiero nel bel mezzo della battaglia dell’Aquila, dove si evidenziano tutti i limiti, del suo esercito che perde unità, si spezza.
La vita del Capitano è messa in gioco fino a perdersi, ad infrangersi, così come il suo sogno così lungamente elaborato e sofferto, attraverso una fine tessitura diplomatica.In nome di quel sogno Braccio è disposto a morire ma non ad arrendersi.
Nemmeno le due scomuniche furono sufficienti a fargli rivedere le posizioni assunte.
Tutto si consuma nel campo degli aquilani, Braccio ferito, si lascia morire, per alcuni, viene ucciso da altri; il suo corpo incalcinato fu fatto trasportare a Roma e buttato dinanzi alla Porta di san Lorenzo come la Carcassa di un animale e lì giacque per giorni e giorni, fino a quando mani pietose lo seppellirono in terreno sconsacrato, in quanto scomunicato, e fu posta una colonna simbolo della casata di Papa Martino, finalmente era vinto e sconfitto per sempre l’odiato e temuto nemico, Braccio da Montone.