Due o tre decenni dopo la morte di San Benedetto i longobardi attaccarono Montecassino e vi compirono la prima delle memorabili distruzioni che scandiscono, come tappe, la storia di quell’abbazia.
I monaci scampati al disastro si rifugiarono a Roma portando con sé il testo della “Regola”, quasi certamente autografo di san Benedetto.
Da loro stessi il papa San Gregorio Magno apprese la vita del grande santo e ce ne trasmise il racconto nel secondo libro dei suoi “Dialoghi”unica fonte storica in nostro possesso per conoscere la vita di san Benedetto.
La Regola benedettina con le sue esigenze di ordine, di stabilità, di sapiente equilibrio fra preghiera e lavoro, si impose ben presto a tutto il monachesimo occidentale e fu seguita in tutti i monasteri europei.
Divenuto il simbolo dell’ideale monastico, fu spontaneo attribuire a lui il merito di tutto ciò che il monachesimo, compreso quello pre-benedettino e quello extra-benedettino aveva compiuto a servizio della civiltà.
Così nel 1947, Pio XII lo chiamò “Padre dell’Europa” e il 24 ottobre 1964, in coincidenza con la consacrazione della Basilica di Montecassino, ricostruita dopo la distruzione della seconda guerra mondiale, Paolo VI lo proclamò “patrono d’Europa“.
Il cammino dell’Europa ebbe inizio con l’evangelizzazione delle popolazioni europee da parte della Chiesa.
Crollato il mondo romano, nel dilagare della violenza barbarica, la Chiesa fu la grande forza storica che fece incontrare, realtà umane profondamente diverse.
Dalle città romane la fede lentamente si era diffusa nelle campagne: chiese, cappelle, luoghi di culto erano disseminati un po’ dovunque.
La maggiore difficoltà in questa opera di evangelizzazione consisteva nell’attaccamento ai culti pagani preesistenti, che talvolta si mescolavano con quelli cristiani.
La creazione di centri di vita cristiana fu anche il metodo della evangelizzazione dei popoli barbarici.
Fu il grande pontefice san Gregorio Magno il primo ad operare per la loro conversione, inviando dei monaci benedettini tra quelle popolazioni.
Celebre è l’invio in Inghilterra di un gruppo di monaci: il loro capo,Agostino, fu il primo arcivescovo di Canterbury.
Successivamente l’arrivo dei monaci irlandesi ed inglesi sul continente segnò l’inizio della seconda fase: innumerevole fu la schiera di monaci che si sparse tra le tribù germaniche ancora pagane.
Tra essi ricordiamo Colombano, Gallo, Willibord e, soprattutto,Bonifacio.
Una fitta rete di monasteri ed abbazie si estese così in tutta l’Europa:Luxeuil, Bobbio, S. Gallo, Fulda, Reichenau, Corbie e migliaia di altre costruzioni grandi e piccole.
Questi monasteri divennero centri di evangelizzazione e di civilizzazione.
Sotto la guida dei monaci, queste popolazioni impararono a prosciugare le paludi, a disboscare le selve, a coltivare la terra, a tracciare nuove strade, a leggere ed a scrivere.
La valorizzazione del lavoro, considerato come mezzo di elevazione dello spirito e perciò imposto a tutti come un dovere, portò ad una ripresa della bonifica del suolo e del lavoro dei campi in tempi in cui gran parte dell’Europa occidentale era incolta e spopolata.
Seguendo le indicazioni della Regola, per provvedere alle loro necessità, i monaci si diedero a dissodare ed irrigare i campi presso i monasteri, a prosciugare le zone paludose, bruciare le stoppie, arare, seminare.
Il bisogno di cera per l’illuminazione delle chiese portò allo sviluppo dell’apicoltura; le necessità di procurarsi la lana per i vestiti, la pergamena per scrivere, il grasso per illuminare, favorì l’allevamento del bestiame.
Ben presto intorno ai monasteri vennero a raggrupparsi contadini in cerca di protezione e, dietro l’esempio dei monaci, presero a dissodare le terre incolte.
Rifiorirono così le culture della vite e dell’ulivo, da tempo abbandonate.
Ripresero anche gli scambi commerciali.
Il monastero, che normalmente sorgeva in un luogo isolato, divenne un centro presso cui si radunavano, in determinati giorni dell’anno, le popolazioni vicine per scambiarsi i loro prodotti; ben presto divenne il luogo in cui, sotto la protezione dell’abate, poté sorgere un vero e proprio mercato.
Con il passar del tempo, per il rapido moltiplicarsi delle donazioni, le proprietà dei monasteri benedettini assunsero vaste proporzioni.
Questo fatto portò allo sviluppo della innovazione tecnica: si moltiplicarono così nelle abbazie i mulini ad acqua ed officine di ogni genere (oleifici, concerie, tintorie, birrerie, formaggerie e, più tardi, stampe).
Ancora oggi nei monasteri benedettini assistiamo a diverse attività.
Ne citiamo alcune: il lavoro della ceramica e dell’oreficeria (aMaresdous in Belgio ed a Montserrat in Spagna), la fabbricazione di succhi di frutta (a Dendermonde in Belgio), la rilegatura di libri (aFarnborough in Gran Bretagna), un laboratorio di restauro di manoscritti e di libri antichi (a Praglia in Italia).
Un altro importante contributo alla civiltà europea fu offerto dai monaci con la paziente trascrizione degli antichi scrittori.
L’esempio classico è il monastero di Vivarium (presso Squillace), fondato verso la metà del secolo VI dall’ex-senatore Cassiodoro in un fondo di sua proprietà; ma in ogni monastero un certo numero di monaci si dedicava a questa attività.
Si copiava soprattutto la Bibbia ed i testi dei grandi autori cristiani, ma anche storici, poeti, naturalisti ed autori di ogni genere del mondo antico trovarono ospitalità nelle biblioteche monastiche.
Quello che il mondo moderno conosce della letteratura antica è dovuto in maniera quasi esclusiva all’opera di umili ed anonimi amanuensi:Montecassino, Bobbio, s. Gallo, Tegernsee, Fulda e Reichenausono stati i principali luoghi di conservazione di testi classici.
L’arte dello scrivere era piuttosto faticosa.
La lunghezza del lavoro era un altro aspetto scoraggiante: un commento di sant’Agostino di 218 pagine, con 20 righe per pagina, venne copiato nell’823 in sette giorni da un unico amanuense, il che rappresenta un ritmo di lavoro eccezionale.
La media invece doveva essere di 10-12 pagine al giorno: per ricopiare la Bibbia era necessario un anno intero.
Alcuni dei manoscritti, soprattutto la Bibbia e gli evangeliari, erano eseguiti in modo lussuoso: a volte la pergamena era tinta di porpora ed il testo era scritto con un inchiostro che dava l’impressione dell’oro e dell’argento.
Frequenti erano le decorazioni con miniature che si facevano sempre più ricche e ricercate.
La celebre Bibbia offerta a Carlo il Calvo resta uno dei più begli esempi dell’arte del libro come si seppe praticarla nel monastero di Tours; ma si ha notizia di altre trenta Bibbie circa uscite da questo scriptorium.
I libri ricopiati con cura servivano ai monaci per la lettura e l’insegnamento.
Per lungo tempo i monasteri, insieme alle chiese cattedrali, furono l’unico luogo in cui ci si preoccupava di istruire ed insegnare.
Nel 789 Carlo Magno in un suo capitolare ordina che “in ciascuna diocesi, in ciascun monastero vengano insegnati i salmi (per apprendere le letture), le note, il canto (per cantare l’ufficio), l’aritmetica, la grammatica (per saper scrivere) e vi siano dei libri corretti con cura”.
Ma era questa un’usanza già diffusa.
Le scuole monastiche sono in primo luogo destinate alla formazione dei monaci; vi sono però dei monasteri che mantengono delle scuole che possono essere frequentate da studenti laici.
È il caso ad esempio del monastero di san Gallo in Svizzera.
Le materie di studio erano in genere 7 ed erano chiamate arti liberali. Si distinguevano in un primo corso chiamato trivio perché comprendeva tre materie: la grammatica, la dialettica (l’arte cioè di ragionare) e la retorica (l’arte del parlare). Successivamente si passava al quadrivio che comprendeva quattro materie: aritmetica, geometria, musica ed astronomia.
Tra queste un notevole impulso subì col passar del tempo l’aritmetica, grazie alle conoscenze che furono apprese dagli arabi.
Oltre a queste materie interessanti erano gli studi di teologia e di diritto.
L’alto valore che i monaci attribuivano all’ospitalità (l’ospite è “come Cristo” secondo le parole della Regola) fece sì che i monasteri divennero un punto di riferimento sicuro per i pellegrini o per i vari viaggiatori che vi trovavano aiuto e protezione.
Nei loro viaggi verso la Terrasanta, verso Roma o gli altri luoghi degni di venerazione (tra tutti ricordiamo Santiago de Compostela) i numerosi pellegrini sapevano di trovare nei numerosi monasteri che costellavano l’Europa un ristoro alle dure fatiche del viaggio e la risposta a qualsiasi necessità.
Con questo lavoro immenso e minuzioso è stato offerto un prezioso contributo alla civiltà europea.